TAP/Corridoio Sud del Gas, la spinta di fine anno

Lavori di preparazione per il TAP in Grecia, foto Carlo Dojmi di Delupis/Re:Common, 2016

[di Elena Gerebizza]

Il 2016 doveva essere l’anno dell’avvio dei lavori di costruzione del Corridoio Sud del Gas, la mega pipeline di 3.500 chilometri che dovrebbe trasportare fino in Italia il gas estratto nei giacimenti offshore di Shah Deniz in Azerbaigian. Così non è stato, perché il grosso dei lavori che le varie società subappaltate hanno condotto finora è quasi solo di preparazione.

Per quanto riguarda il TAP, il tratto dell’opera che coinvolge anche l’Italia, la società con sede a Baar in Svizzera deve risolvere diversi contenziosi relativi all’acquisizione delle terre e alle stesse autorizzazioni a procedere con i lavori. In Grecia le ruspe del TAP sono entrate senza permessi nelle terre di diversi contadini e addirittura di un comune vicino a Kavala. Non è quindi un caso che l’associazione dei contadini abbia denunciato una delle subappaltate greche, JP Avax, e sia in attesa di capire come la Banca europea degli investimenti (BEI) pensi di districarsi da questa situazione spinosa.

Val la pena rammentare che la BEI dovrebbe infatti finanziare la costruzione del TAP, ma ancora non ha preso una decisione in merito. Oltre alle denunce, i contadini chiedono di essere ascoltati anche in merito al tracciato del gasdotto, che loro ritengono debba essere come minimo rivisto, mentre in molti mettono in discussione la stessa strategicità del progetto.

Anche in Albania, nonostante il clima di repressione, piccoli coltivatori hanno presentato diverse denunce alla Banca europea degli Investimenti, chiedendo delle giuste compensazioni dal momento che nei territori attraversati dal gasdotto la terra è l’unica fonte di sussistenza per migliaia di famiglie.

In questo contesto la BEI tentenna nel decidere in merito al prestito richiesto, di ben 2 miliardi di euro. Un prestito che, se approvato, sarebbe il più grande nella storia dell’istituzione e un potenziale boomerang per la sua immagine pubblica e per la credibilità della stessa Commissione europea che di fatto potrebbe essere chiamata a coprirne il rischio.

In Italia il conflitto tra amministrazioni locali e governo è lontano dall’essere risolto. Oltre ai ricorsi amministrativi è la stessa autorizzazione unica ad essere messa in discussione dalla regione Puglia e dall’amministrazione di Melendugno, secondo cui i lavori non sono iniziati entro la scadenza di maggio 2016 nonostante le dichiarazioni contrarie della società, e l’autorizzazione sarebbe quindi scaduta. Il “cantiere” ad oggi non è niente più di un recinto, e le 58 prescrizioni, molte delle quali riguardanti il tanto contestato micro tunnel che dovrebbe passare sotto il lido di San Basilio, come anche l’espianto dei 1900 ulivi , rimangono inattese.

Non è un mistero per nessuno che nel contesto economico e finanziario internazionale attuale una parte del problema siano proprio i soldi. Azerbaigian e Turchia, che dovrebbero pagare buona parte dei costi iniziali di costruzione del corridoio, versano in cattive acque e il basso prezzo del petrolio non li aiuta. L’instabilità interna, la legge marziale ancora in piedi in Turchia e le epurazioni delle voci libere in corso in entrambi i paesi aprono a molte domande su chi e come possa garantire il monitoraggio indipendente del progetto – e dei milioni di euro che investitori terzi potrebbero metterci.

Forse proprio per ridare fiducia agli investitori istituzionali, o per mettere sotto pressione le istituzioni europee, il 20 e 22 dicembre, alla vigilia delle festività natalizie, la Banca mondiale e la Banca di investimento delle infrastrutture asiatica (AIIB) hanno rotto gli indugi e deciso alla spicciolata due prestiti alla tratta turca del megasdotto, il TANAP.

A poco sono servite le lettere ai direttori esecutivi della Banca Mondiale inviate da diverse organizzazioni tra cui Re:Common (la lettera si può scaricare a questo link). Certo, alcuni dei direttori si sono astenuti al momento del voto, ma non sono riusciti a fare di più per incidere sul corso degli eventi. Così a inizio 2017 i responsabili dei due governi hanno siglato il contratto di prestito con la Banca mondiale per l’ammontare di ben 800 milioni di euro – diviso a metà tra la società turca Botas, che detiene il 30% del progetto, e quella azera Socar, che ne ha il 58%.

A breve arriverà anche la firma con la AIIB, che ha concesso un prestito da 600 milioni di euro. Un colpo di coda che intende forse scuotere le sorti del progetto. Si vedrà nei prossimi mesi se sarà davvero così o se invece si è trattato dell’ultimo sospiro di un progetto che puzza di vecchio prima ancora di vedere la luce.

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