[di Elena Gerebizza]
Dietro le quinte del fallito vertice europeo virtuale svoltosi lo scorso 26 marzo per trovare delle misure comuni in merito all’epidemia COVID-19, c’è una lettera del presidente della Banca europea per gli investimenti (BEI), Werner Hoyer, indirizzata ai ministri delle finanze europei, in cui anche la Banca dell’UE avanzava una propria proposta.
La lettera, inviata in extremis la sera prima del summit e ottenuta dalla rivista POLITICO, metteva sul tavolo una richiesta secca ai governi: risorse fresche per 25 miliardi di euro, necessarie per garantire un fondo da 200 miliardi di euro, che sarebbe stato gestito dalla stessa BEI. Una sorta di contro-proposta alla richiesta di Italia e Spagna di un covid bond, che non ha trovato consenso da parte di altri esecutivi, in particolare quelli di Germania e Paesi Bassi.
Nella sua lettera, Hoyer avrebbe presentato il fondo come “una proposta basata sulla solidarietà”, sottolineando la partecipazione su basi volontarie al fondo da parte degli Stati Membri, anche aggiungendo che “non abbiamo un altro giorno da perdere”.
Il fatto che la proposta sia rimasta piuttosto nell’ombra del dibattito attuale sui covid bonds – il cui ago della bilancia sembra essere il commissario europeo Paolo Gentiloni – non significa che la BEI non continui il suo lavoro dietro le quinte. La formula è molto diversa da quella dei titoli di debito europei proposti da Conte e dal suo omonimo spagnolo, il cui negoziato sembra avanzare in una formula vincolata a obiettivi comuni, come per esempio “affrontare l’emergenza sanitaria” o creare “un nuovo strumento di garanzia per la disoccupazione e un piano per il sostegno alle imprese”.
La BEI starebbe chiedendo alle casse pubbliche dei singoli paesi non solo di mettere le risorse, ma anche la garanzia pubblica, per la creazione di questo fondo. Da una sommaria descrizione della proposta, questa sarebbe orientata a assicurare i prestiti di banche pubbliche e private alle imprese, per gestire sia la fase di crisi che eventualmente il post-crisi e l’ormai ineluttabile recessione.
Hoyer rilancia quindi, dopo avere comunicato la settimana scorsa che la Banca avrebbe mobilitato in tempi rapidi ben 40 miliardi di euro per fare fronte alla crisi generata dalla pandemia COVID-19.
Fondi questi che la Bei destinerebbe principalmente a far fronte alla crisi di liquidità di aziende e del settore sanitario, garantiti da fondi propri della stessa Bei e della Commissione europea.
Quello che manca nella lettera di Hoyer, ci sembra, è un mea culpa rispetto al mantra delle privatizzazioni e delle partnerships pubblico privato (PPP), sostenuto da sempre dalla BEI, ancora di più nella fase di recessione successiva alla crisi finanziaria del 2008. Un sostegno che ha contribuito al processo di “aziendalizzazione” delle unità sanitarie locali, divenute appunto aziende, allo smantellamento delle strutture sanitarie pubbliche a favore di strutture private e alla gestione privatistica della sanità che mina fortemente il diritto universale alla salute. Da allora a oggi, la BEI ha investito oltre 17 miliardi di euro nel settore sanitario, orientando le risorse in buona parte per sostenere la privatizzazione del settore. In Italia, la BEI ha investito 266 milioni di euro nel settore sanitario nel post crisi del 2008. Di questi, ben 100 milioni di euro sono stati destinati a quei progetti di ospedali in project finance promossi dalla regione Toscana e oggetto di un rapporto della Corte dei Conti del 2017 che ha denunciato come la quota pubblica sarebbe passata dall’atteso 65% dei costi fino all’89%, con l’incremento dei costi anticipato e pagato interamente da con fondi pubblici.
La Corte ha anche rilevato come i contratti controfirmati dalla Regione fossero spiccatamente convenienti per il concessionario, cioè l’investitore privato coinvolto nell’operazione. Il costo complessivo? Solo per la costruzione degli edifici, le Asl Toscane avrebbero sborsato qualcosa come 359,16 milioni di euro, a cui si aggiungono altri 1,227 miliardi di euro per i canoni di leasing per i servizi.
Tenendo a mente tutto questo, è chiaro come la Banca europea per gli investimenti stia giocando tutte le sue carte per rimanere rilevante in un contesto in cui tutti guardano all’Unione europea, consapevoli di quanto la drammatica situazione attuale sia un test-case rispetto alla tenuta delle istituzioni e dello stesso progetto comunitario. Non è un caso che in molti abbiano parlato di “solidarietà” con le accezioni più diverse, incluso lo stesso Hoyer. Ma la partita sembra essere molto complessa, e nascondere un tentativo ultimo da parte di governi, istituzioni europee e settore finanziario di ricreare il prima possibile un senso di equilibrio per rassicurare i mercati e continuare con il business as usual. Ci chiediamo se quello che serva in questo momento sia invece una trasversale autocritica sulla responsabilità sistemica rispetto al come siamo arrivati a una situazione in cui il sistema sanitario pubblico, non solo italiano, si dichiara al collasso. E in cui l’emergenza ambientale e climatica rimangono connesse a quella sanitaria in corso, che se ne dica o no. Incluso da partire da istituzioni come la Bei che hanno promosso a spada tratta la privatizzazione di tutti i settori pubblici, sanità compresa, nelle ultime decadi, e che ora ci viene difficile riconoscere come parte della soluzione di lungo termine.