SACE si rimangia la parola e non abbandona le fossili?

A novembre 2021, in occasione della Conferenza sul clima (COP26), 34 paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche hanno firmato la cosiddetta “Dichiarazione di Glasgow”, un impegno senza precedenti per porre fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili entro il 31 dicembre 2022.

Se tutti i firmatari mantenessero l’impegno preso, sarebbe possibile sottrarre una media di 28 miliardi di dollari all’anno all’industria fossile. L’Italia ha aderito solo all’ultimo minuto, nonostante avesse la co-presidenza del vertice.

Non a caso, alla pari degli Stati Uniti, il nostro Paese non ha ancora tramutato l’adesione in un impegno vincolante.   

Eppure l’Italia è il sesto finanziatore pubblico al mondo di progetti fossili, più dell’Arabia Saudita o della Federazione russa, dietro solo a Giappone, Canada, Corea del Sud, Cina e Stati Uniti. La maggior parte di questi finanziamenti passano per SACE (Servizi Assicurativi per il Commercio Estero), l’assicuratore pubblico italiano controllato dal ministero dell’Economia e delle Finanze. SACE è la nostra agenzia di credito all’esportazione, cioè ha il ruolo di coprire dai rischi politici e commerciali le multinazionali di un determinato paese nel loro export e investimenti esteri, soprattutto in realtà considerate ‘a rischio’.

L’attività prevalente della SACE è quella di emettere garanzie, i cui beneficiari possono essere sia aziende multinazionali, i cui progetti all’estero possono essere assicurati, che banche commerciali, i cui prestiti ai progetti esteri delle aziende possono essere garantiti. Se le cose vanno male, SACE rimborsa le aziende o le banche che hanno prestato soldi alle aziende per i loro progetti: in entrambi i casi con soldi pubblici.

Fra il 2016 e il 2021, SACE ha emesso garanzie per progetti fossili pari a 13,7 miliardi di euro. Nel triennio 2018-2020, l’agenzia si colloca al terzo posto a livello globale per supporto finanziario ai settori del petrolio e del gas, dietro solo alle sue omologhe di Stati Uniti e Canada.

Se il ruolo di SACE è quello di suggellare la cooperazione economica tra l’Italia e gli altri paesi, ergendosi a garante degli investimenti dei ‘campioni’ industriali e finanziari nostrani – tra cui spiccano Eni, Saipem e Intesa Sanpaolo, è altrettanto evidente che ciò avviene a discapito della tutela dei diritti. Il più delle volte, le multinazionali e, di conseguenza, SACE, si inseriscono in contesti attraversati da forti instabilità socio-politiche, acuendole, oppure operano a stretto contatto con i governi che le alimentano. In entrambi i casi l’industria del petrolio e del gas ha un ruolo da protagonista, come nel caso della Federazione russa, del Mozambico e dell’Egitto.

In attesa dell’implementazione della Dichiarazione di Glasgow, SACE continua a prendere in considerazione il finanziamento di importanti progetti fossili, tra cui il giacimento di gas “Sakarya” in Turchia – fondamentale per le ambizioni economiche e politiche del sultano Erdogan, navi per la lavorazione di petrolio e gas estratti in acque ultra-profonde al largo del Brasile e, probabilmente, il mega-progetto di gas Rovuma LNG di Eni in Mozambico.

Se questi progetti venissero realizzati grazie al sostegno finanziario di SACE, saremmo testimoni di una produzione di petrolio e gas tale da immettere nell’atmosfera 1,2 gigatonnellate (Gt) di CO2 aggiuntiva: l’equivalente di 3,5 volte le emissioni annuali dell’Italia.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha innescato una nuova corsa globale ai combustibili fossili, soprattutto il gas, ridisegnando le mappe dei rapporti di forza e delle relazioni commerciali sullo scacchiere internazionale. O, per meglio dire, le mappe delle dipendenze energetiche, come nel caso dell’Italia, che sta passando da quella russa a quella algerina, qatariota e statunitense.

Su questo scenario si innestano le vuote fanfare del ritrovato “piano Mattei” per l’Africa – tanto decantato dalla premier Giorgia Meloni – oppure le velleità di trasformare l’Italia in hub mediterraneo del gas.

Alla luce di tutto questo, appare quindi chiaro il motivo per cui SACE non abbia ancora tramutato la promessa di Glasgow in una politica vincolante: non fa gli interessi delle cittadine e cittadini italiani né di quelli dei paesi del Sud globale, ma quelli delle multinazionali energetiche e delle banche commerciali che continuano a fare mega-profitti a discapito del clima, dell’ambiente e della collettività.

Resta aggiornato, iscriviti alla newsletter

Iscrivendoti alla newsletter riceverai aggiornamenti mensili sulle notizie, le attività e gli eventi dell’organizzazione.


    Vai alla pagina sulla privacy

    Sostieni le attività di ReCommon

    Aiutaci a dare voce alle nostre campagne di denuncia

    Sostienici