SACE “garantisce” il gas di Erdogan

L’ennesima violazione dell’impegno preso dal governo italiano e da SACE esattamente due anni fa, durante la Conferenza sul clima di Glasgow (COP26), di smettere di sussidiare progetti fossili all’estero. È così che si configura l’emissione della garanzia sui prestiti per la realizzazione del mega-gacimento di gas Sakarya, in Turchia, da parte di SACE.

È il 30 maggio 2023, le elezioni presidenziali in Turchia si sono tenute due giorni prima ma i risultati parziali lasciano poco spazio alla fantasia, tanto che il candidato Kemal Kılıçdaroğlu ammette subito la sconfitta: Recep Tayyip Erdoğan guiderà ancora il Paese. Sulla base di documenti in possesso di ReCommon, proprio in quei giorni l’assicuratore pubblico italiano SACE emette una garanzia sui prestiti per la prima fase del progetto Sakarya, mega-giacimento di gas nelle acque territoriali turche del Mar Nero. Il costo dell’operazione è di 243 milioni di dollari, a copertura dei prestiti dell’Arab Petroleum Investments Corporation, Denizbank e dei colossi statunitensi JP Morgan e Citi. Un’altra tranche è invece concessa sotto forma di prestito diretto da Eksfin, corrispettivo norvegese di SACE. Il finanziamento complessivo va alla Turkish Petroleum Corporation, società a controllo statale e capofila del progetto.

Per comprendere l’importanza del progetto Sakarya, bisogna portare indietro le lancette all’estate del 2020, quando la Turchia annuncia un’importante scoperta di gas nel Mar Nero, al largo della costa di Zonguldak. Il progetto viene chiamato “Sakarya Gas Field Development”, dal nome del fiume dove nel 1921 si tenne una battaglia cruciale della guerra greco-turca. Alcuni analisti la definiscono “la più grande scoperta nel Mar Nero”, con riserve pari a 710 miliardi di metri cubi di gas. Il giacimento rimarrà in funzione per almeno 25 anni, che potranno essere molti di più in caso di nuove scoperte. Nella prima fase, la produzione giornaliera di gas dovrebbe essere di 10 milioni di metri cubi, 40 nella seconda e 60 nella terza. Dai pozzi nel Mar Nero, entrati in funzione di recente, il gas arriva all’impianto di Filyos (Zonguldak) attraverso un gasdotto di circa 170 chilometri posato a 2200 metri di profondità, e da lì alla rete di distribuzione nazionale. Il trasporto e l’installazione del gasdotto sottomarino è in capo a Saipem, principale società ingegneristica italiana nel settore oil&gas, i cui principali azionisti sono Eni e Cassa Depositi e Prestiti.

Nell’aprile del 2023, un mese prima delle elezioni presidenziali, Erdoğan in persona inaugura l’arrivo dei primi metri cubi di gas al sito industriale di Filyos. Un’occasione troppo ghiotta per non essere sfruttata ai fini della campagna elettorale: promette di fornire gratuitamente per un mese gas per il consumo domestico in maniera illimitata e fino a 25 metri cubi al mese per un anno.

Se è vero che nelle settimane antecedenti le elezioni Erdoğan ha inaugurato varie opere di carattere strategico, il progetto Sakarya riveste un ruolo speciale: marcata enfasi sulla velocità di realizzazione del progetto grazie alla manodopera nazionale; frecciatine a giganti del fossile come Shell e BP che non hanno trovato gas in precedenti round esplorativi nel Mar Nero; navi per le trivellazioni aventi nomi di sovrani dell’Impero ottomano. Sakarya è il gioiello della corona che incarna ogni ambizione autarchica della Turchia. Il 28 maggio, poche ore dopo i primi exit poll del ballottaggio, Erdoğan già festeggia il suo terzo mandato e ne approfitta per scagliarsi subito contro la comunità LGBTQI+, denunciandone le interferenze con la sacralità della famiglia, e promettendo di “strangolare chiunque osi toccarla”. Nelle stesse ore, SACE celebra l’inizio del mese dell’orgoglio LGBTQI+, impegnandosi “nella creazione di un luogo di lavoro inclusivo”: un’affermazione che, evidentemente, stona con le conseguenze dirette e indirette dei progetti garantiti in alcuni paesi.

Tra queste conseguenze, ci sono ovviamente quelle sul clima e l’ambiente. La prima fase del progetto Sakarya contribuirà all’emissione di 140 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, più o meno come quelle prodotte dalle Filippine nel 2022. 

Si deve poi tenere conto del contesto. Il progetto è da considerarsi “ultradeep”, cioè a una profondità maggiore di 1500 metri sotto la superficie del mare, rientrando quindi nella sotto-categoria di petrolio e gas non-convenzionali: quelli più pericolosi, con potenziali ripercussioni di tipo irreversibile sull’ambiente e sul clima. Sulla terraferma, il sito più impattato è in prossimità della zona industriale di Filyos – in particolare le acque del fiume omonimo e le zone umide in prossimità degli impianti, con ripercussioni sulla fauna marina e gli uccelli dell’area.

Durante la COP26, 34 paesi e cinque istituzioni finanziarie pubbliche aderirono alla cosiddetta “Dichiarazione di Glasgow”, impegno congiunto per porre fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali per progetti di estrazione, trasporto e trasformazione di carbone, petrolio e gas entro il 31 dicembre 2022. Tuttavia, il governo italiano e il suo assicuratore pubblico hanno deciso di disattendere quell’impegno, al contrario dei corrispettivi nel Regno Unito, Francia, Danimarca e Svezia. Attraverso l’operatività di SACE, l’Italia è il primo finanziatore pubblico di combustibili fossili in Europa e il sesto a livello globale. Dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima, l’ammontare garantito per progetti fossili ammonta a 15,1 miliardi di euro.

Con la prima fase del progetto ormai conclusa, ora Sakarya si appresta alla seconda, con l’obiettivo di aumentare il numero di pozzi operativi e, di conseguenza, la produzione. Saipem si è già aggiudicata una nuova commessa, e SACE potrebbe essere nuovamente della partita. L’unica maniera per evitare ulteriori ripercussioni sociali, ambientali e climatiche è quella di adottare politiche serie per uscire dalle fossili, a partire dall’implementazione della Dichiarazione di Glasgow.

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