Roma, 21 maggio 2024 – Alla vigilia del vertice del G7 Finanze di Stresa, ReCommon lancia il suo rapporto “Senza controllo, le emissioni di CO₂ delle più grandi banche mondiali – Unsupervised, the carbon pollution of the world’s largest banks”, che rivela come le maggiori banche dei Paesi del G7 siano responsabili di più emissioni di gas serra di Italia, Germania, Regno Unito e Francia messe insieme. Le emissioni di gas serra associate alle banche più importanti del G7 ammontano a 2,7 miliardi di tonnellate, contro i 2 miliardi dei quattro paesi del G7 presi in considerazione. Il dato è stato ricavato sulla base delle informazioni disponibili alla fine del 2022, ma di fatto risulta calcolato ampiamente per difetto a causa della mancanza di trasparenza e delle scarse pratiche di divulgazione da parte degli istituti di credito. In particolare, lo studio di ReCommon critica il fatto che la maggior parte delle banche non renda pubblici i dati sulle emissioni assolute ma fornisca solo le metriche di intensità.
Al netto di queste criticità, un altro dato emerge chiaramente: nonostante rappresentino solo il 6% dei prestiti analizzati dal rapporto, i settori ad alta intensità di CO₂ sono responsabili di oltre la metà delle emissioni totali finanziate.
«Se le più importanti banche del Pianeta fossero un Paese, sarebbero tra i primi inquinatori globali. I ministri delle Finanze del G7 e le autorità di vigilanza finanziaria devono porre un freno al settore finanziario e fermare il finanziamento dei combustibili fossili, che rappresentano il fattore chiave della crisi climatica, dell’aumento delle bollette energetiche e del continuo peggioramento degli eventi estremi che costringono le persone di tutto il mondo ad abbandonare le proprie case» ha dichiarato Daniela Finamore di ReCommon, co-autrice del report. «I ministri delle Finanze e le autorità di regolamentazione devono indirizzare i finanziamenti tenendo come obiettivo l’interesse pubblico, in modo che tutti noi possiamo vivere in un clima più sicuro e in un’economia stabile» ha aggiunto Finamore.
Tra i soggetti più coinvolti nel business fossile non poteva mancare la più importante banca italiana, Intesa Sanpaolo, che dall’Accordo di Parigi ad oggi ha sostenuto il settore con 81,6 miliardi di dollari. Solo nel 2023 parliamo di 8,6 miliardi di dollari di investimenti e 7,5 miliardi di dollari di finanziamenti.
Esemplificativo che Intesa Sanpaolo sia presente, tramite un finanziamento della controllata UBI Banca che ammonta a 160 milioni di dollari, nel controverso progetto di Eni di estrazione di gas offshore in Mozambico Coral South LNG. L’istituto di credito torinese non ha chiarito se sia coinvolta anche negli altri progetti Rovuma e Coral North LNG. Di certo è molto esposta sul fronte del gas naturale liquefatto a stelle e strisce nell’area del Golfo del Messico, con 4,8 miliardi di dollari di finanziamenti concessi dal 2016 a oggi. Nel luglio del 2023, Intesa Sanpaolo ha accordato un prestito di ben 1,08 miliardi di dollari per la realizzazione del mega terminal di export di gas naturale liquefatto texano Rio Grande LNG.
«La policy su clima e ambiente della prima banca italiana è tra le più deboli, se paragonata ad altre istituzioni finanziarie europee, a causa delle numerose lacune e scappatoie presenti» ha evidenziato Daniela Finamore.
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