La finanza privata, cioè l’insieme di banche, compagnie assicurative fondi di investimento e fondi pensione, determina i flussi e la redistribuzione dei capitali, cioè la ricchezza. In prima fila ad alimentare la crisi climatica, la sua narrazione vorrebbe raccontarci esattamente l’opposto.
Intesa Sanpaolo, primo gruppo bancario italiano, è riuscito a fare breccia nell’immaginario collettivo come banca sostenibile e al servizio dei territori: niente di più distante dalla realtà.
Nel solo 2020 ha sostenuto l’industria dei combustibili fossili con 5,4 miliardi di euro, e di recente ha riproposto impegni deboli sul settore del carbone, che così potrà essere ancora finanziato. Tutto questo mentre fornisce un supporto pressoché incondizionato a petrolio e gas, soprattutto in relazione allo sfruttamento dell’Artico. Per questi motivi è la banca nemica del clima n.1 in Italia.
C’è poi UniCredit, i cui impegni relativi al business del carbone sono stati riconosciuti a livello internazionale. Impegni che rischiano però di risultare inconsistenti se, a fare da contraltare, ci sono miliardi di euro accordati a quelle società che espandono il proprio business con nuove esplorazioni e produzione di petrolio e gas.
Abbiamo chiesto di nuovo l’aiuto del nostro amico Claudio Morici per spiegare uno dei perché della nostra campagna per fermare la Finanza Fossile.