La SACE non deve finanziare la corsa al petrolio in Perù

L’assicuratore pubblico SACE non molla la sua presa sul comparto dei combustibili fossili. Questa volta potrebbe garantire un finanziamento di ben 500 milioni di dollari a una delle società più controverse dell’America Latina, Petroperù. Denaro destinato alla realizzazione del progetto di ammodernamento della raffineria di Talara, che Petroperù definisce un’opera green, ma che in realtà avrà pesanti impatti ambientali e soprattutto servirà per processare il petrolio proveniente da quattro blocchi a largo della costa settentrionale e in piena Amazzonia. Petroperù ha infatti ripreso le attività di estrazione, dopo essersi dedicata negli ultimi anni principalmente alla raffinazione e al trasporto del greggio tramite le sue infrastrutture. 

Per evitare l’ennesimo regalo al settore estrattivo, l’organizzazione internazionale Amazon Watch – supportata da ReCommon – e le comunità locali e indigene Peruvian Federation of the Achuar Nationality (FENAP), l’Autonomous Territorial Government of the Wampis Nation (GTANW) e l’Organizzazione dei pescatori di Cabo Blanco hanno scritto a SACE, chiedendo che il supporto finanziario non sia concesso in alcun modo perché avrebbe pesanti impatti sui territori abitati per l’appunto dalle comunità già menzionate.

Dei quattro blocchi da cui dovrebbe provenire il greggio per la raffineria, solo quello offshore è operativo, con una produzione però molto marginale, tanto che si attesta solo su 480 barili al giorno. Tuttavia Petroperù intende sviluppare altri sei blocchi a largo della costa, così da incrementare la produzione e giustificare un progetto, la raffineria di Talara, che ha il costo esorbitante di 5,3 miliardi di dollari.

Raffineria di Talara, The EITI, CC BY-SA 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0, via Wikimedia Commons

Petroperù ha una lunga storia di pesanti violazioni dei diritti delle popolazioni indigene, le sue attività sono state spesso segnate da gravi episodi di corruzione, oltre ad avere un bilancio perennemente “in affanno”. La società statale ha appena cambiato cinque presidenti nel corso di un anno, a testimonianza che è contraddistinta da una fortissima instabilità, un motivo in più affinché SACE eviti il coinvolgimento nell’ennesimo progetto ad altissimo rischio socio-ambientale che peserebbe sulle tasche della cittadinanza italiana, nonché in netta contraddizione con gli impegni presi dall’Italia per la lotta alla crisi climatica.

Non che SACE non sia nuova a “corposi aiuti” all’industria fossile: fra il 2016 e il 2022 ha concesso la ragguardevole cifra di 15,1 miliardi di euro di garanzie a progetti di petrolio e gas. E c’è poi il tradimento della Dichiarazione di Glasgow dietro il mantra della “sicurezza energetica”. Tuttavia è lecito chiedersi: come può garantire la sicurezza energetica italiana una raffineria in Perù, gestita da un’azienda in crisi e responsabile di importanti impatti ambientali e sociali?

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