di Luca Manes – pubblicato su pagina99.it
È uno dei progetti più controversi e contestati d’Europa. Parliamo della miniera d’oro di Rosia Montana, in Romania. Per la precisione nella regione della Transilvania, dove alcune montagne rischiano di venir cancellate per far posto alla miniera a cielo aperto più grande d’Europa.
Sotto assedio da parte della multinazionale estrattiva di turno, la canadese Gabriel Resources, sono oltre 2300 ettari di territorio degli Apuseni (“Monti del Tramonto”), parte della catena dei Carpazi occidentali.
La zona è conosciuta anche come “il quadrilatero d’oro”, dal momento che lì lo sfruttamento delle vene aurifere ha avuto inizio già in epoca romana, oltre 2000 anni fa. Oggi non si parlerebbe più di scavare delle gallerie, ma letteralmente di rimuovere diverse montagne (con la tecnica del “mountain top removal”, tristemente nota negli Stati Uniti). Oltre a sbancare il territorio, si prevede di utilizzare tra 30 e 50 milioni di tonnellate di cianuro ed enormi quantità di acqua, che dovrebbero poi essere stoccate in un bacino artificiale per la cui costruzione verrebbe edificata una diga alta 185 metri.
L’opposizione all’opera è molto forte. Non ci sono solo gli abitanti di Rosia Montana e dei paesi limitrofi, parte dell’associazione di residenti e proprietari “Alburnus Major”, ma milioni di persone in tutto il paese che dal 2002 sostengono e sono parte attiva della campagna Salvati Rosia Montana. Il governo romeno, però, non ha nessuna intenzione di prestare ascolto alla protesta popolare. Anzi, di recente ha represso con estrema violenza ogni forma di dissenso, in particolare contro la nuova normativa nazionale che avrebbe favorito il definitivo via libera alla miniera. La proposta di legge, oltre a facilitare gli espropri evitando ogni forma di consultazione della popolazione, prevedeva oltre 20 misure speciali.
Tra le altre: la riduzione dell’obbligo di garanzia finanziaria solo al primo anno delle operazioni (e non all’intero periodo di sfruttamento); il diritto di utilizzo di qualsiasi luogo interno alla concessione (incluse chiese, cimiteri, siti di interesse culturale e storico) se una copia degli stessi è stata realizzata in un altro luogo e l’assimilazione delle foreste a tali luoghi, con la conseguente rilocazione dei “monumenti naturali” (locuzione a dir poco originale coniata dal legislatore romeno). Per finire, l’estensione della possibilità di compiere attività estrattive anche in zone dove ciò è vietato dalla legge mineraria rumena. Tuttavia per il momento, grazie alla mobilitazione popolare, lo scorso dicembre la normativa è stata riposta nel cassetto.
Provvedimenti del genere non fanno una grinza, se si pensa che è ormai un lustro che l’esecutivo sta svendendo il paese. Una privatizzazione iniziata dalla destra e continuata dalla sinistra oggi al governo. Investitori e aziende russe, canadesi, statunitensi stanno facendo man bassa. Comprano le aziende per poi chiuderle e lasciare le persone per strada. Oppure entrano in possesso per un piatto di ceci delle risorse nazionali. Acqua, oro, ma anche gas di scisto. Chevron, Gazprom e altre aziende europee spingono per l’inizio delle esplorazioni (e quindi dell’estrazione) su larga scala dello shale gas nella zona orientale del paese, al confine con la Moldavia.
Un successo della campagna per salvare Rosia Montana potrebbe rivelarsi decisivo per invertire questo trend molto preoccupante. La strada da fare è ancora tanta, ma gli attivisti non hanno nessuna intenzione di fermarsi qui.