La lotta contro il carbone di Vado Ligure non è finita

Re:Common oggi è a Savona per assistere all’inizio del processo per disastro ambientale e sanitario contro i manager della Tirreno Power – controllata della multinazionale francese Engie e dall’italiana Sorgenia – che gestivano i gruppi a carbone della centrale di Vado Ligure. L’impianto fu sequestrato l’11 marzo 2014 con una coraggiosa ordinanza del Tribunale di Savona perché la centrale rappresentava una minaccia immanente per la salute della popolazione locale ed era gestita violando la legge. Esattamente quello che quattro anni prima aveva denunciato il Presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Savona, Ugo Trucco.

Impianto di Vado Ligure. 31 gennaio 2019. Foto Carlo Dojmi di Delupis/Re:Common

Siamo a Savona perché è fondamentale sostenere e amplificare l’azione delle sei organizzazioni della società civile italiana, in particolare l’associazione locale di cittadini Uniti per la Salute, che dal 2007 si sono battute per la chiusura della Centrale e per il riconoscimento di una vera giustizia per tutti coloro che hanno subito gli effetti nocivi, se non mortali, dell’impianto stesso.

Siamo a Savona per non dimenticare che cosa è stata la tragedia di Vado Ligure – una centrale a carbone attiva per decenni all’interno di un centro abitato come se nulla fosse. Val la pena rammentare che gli effetti di quella devastazione ambientale e sanitaria potrebbero mostrarsi con nuove patologie oggi latenti.

Siamo a Savona perché la Procura della Repubblica fino alla conclusione delle indagini nel 2015 ha fatto un lavoro encomiabile e all’avanguardia a livello internazionale, utilizzando modelli ambientali ed epidemiologici innovativi che hanno svelato come la società gestisse l’impianto violando numerose regolamentazioni, purtroppo con la connivenza di molti pubblici ufficiali. Ora è cruciale che la stessa Procura, sotto gli occhi della società civile nazionale ed internazionale, agisca con forza in questo processo e creda fino in fondo che si possa sancire un importante precedente.

Siamo a Savona perché non sono a processo i tanti amministratori locali e regionali che avevano la responsabilità di controllare l’operato dell’azienda che gestiva la centrale e non sono mai intervenuti malgrado le ripetute denunce dei cittadini e dei medici. Addirittura, a fronte dell’indagine in corso, alti dirigenti ministeriali avrebbero aiutato ad organizzare “una porcata”, come svelato da intercettazioni imbarazzanti pubblicate sui giornali nazionali (e peccato che chi organizzava la “porcata” sia stato anche premiato con una promozione al più alto livello ministeriale).

Siamo a Savona perché questo processo è la continuazione ideale di altri procedimenti simili, quali quelli sulla centrale di Porto Tolle, che avevano temporaneamente fissato dei precedenti giurisprudenziali importanti per quel che riguarda il nesso di causalità generale tra le emissioni di una centrale termoelettrica e gli impatti sulla salute della popolazione. Sentenze esemplari – che portarono alla condanna in primo grado degli allora ad di Enel, Franco Tatò e Paolo Scaroni – poi ribaltate in appello, ma con la conferma del fatto dal punto di vista oggettivo e soggettivo da parte della Cassazione. Ma purtroppo i reati sono stati dichiarati prescritti. Ed è giunto il momento che la giurisprudenza italiana evolva finalmente in meglio e sia strumento di giustizia per le popolazioni vittime di disastri e non solo di protezione per le grandi corporation ed i propri manager.

Siamo a Savona perché i gruppi della centrale a carbone sono chiusi. Ma le richieste di giustizia per quello che è stato sono sempre vive, come la volontà della popolazione locale di avere una vera bonifica delle aree della centrale ed un futuro libero da nuove opere inutili e dannose imposte sulla popolazione locale per l’interesse di pochi privati (un vizio che molte amministrazioni non sembrano aver perso). Speriamo che riparlando di questa vicenda, oggi dalle aule processuali, le tante vittime di questo caso emblematico di estrattivismo ai danni dei territori e delle loro popolazioni prendano coraggio e alzino la loro voce nel chiedere giustizia.

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