L’incontro di alcuni giorni fa tra Giorgia Meloni e il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha rinnovato l’alleanza di ferro tra Italia e Algeria sulla “sicurezza energetica”. Di fatto, però, in questo genere d’incontri gli stati appaiono come meri commensali al tavolo della firma di ricchi accordi di collaborazione tra le imprese. Le altre proposte emerse sono abbastanza generiche, a partire dal “Piano Mattei per l’Africa” o dall’idea di costruire gasdotti che riescano a portare indifferentemente metano, idrogeno e ammoniaca.
Il lavoro di questo governo è in perfetta continuità con il precedente. Era stato l’ex-premier Mario Draghi a inaugurare la stagione degli incontri bilaterali con i dittatori del Mediterraneo, così adesso Giorgia Meloni segue la linea tracciata dai sui predecessori. L’idea che la sicurezza energetica passi per l’aumento dell’import-export di gas è un mantra che ci sta portando a diversificare e, in qualche caso, aumentare gli approvvigionamenti di gas, ma che fino a ora ci pone davanti altre questioni: Algeria, Israele ed Egitto sono meno pericolosi e/o più affidabili della Russia?
Nei primi undici mesi del 2022 il volume di gas importato è in leggero aumento (+0,2%) rispetto all’anno precedente, con un aumento del +40,8% dell’import di gas naturale liquefatto (GNL) e una diminuzione del 6,4% del metano via gasdotto. Ma per l’Italia questo è ancora un traguardo provvisorio. Si cercano sempre più accordi sia per il GNL che per nuovi gasdotti. Intanto il governo Meloni si iscrive insieme a Grecia e Spagna fra i candidati a diventare hub del gas per l’Europa: sono otto i punti d’ingresso del metano nel nostro paese, con altri quattro punti in fase di progettazione (Piombino, Ravenna, Gioia Tauro e Porto Empedocle), due potenziali raddoppi (il Tap e il Transmed), un nuovo gasdotto (il Poseidon) e l’anacronistica idea di metanizzazione della Sardegna. Un gran plan che non può avere come obiettivo solo essere indipendenti dal gas russo, ma che invece ci candida a essere il Paese chiave negli approvvigionamenti europei, il tutto senza una reale stima della domanda e senza nessun riguardo nei confronti degli obiettivi climatici. Due soggetti guidano quest’agenda e sono indiscutibilmente Eni e Snam.
Della seconda si parla poco ma ha un ruolo tutt’altro che marginale nella partita del gas. Detiene infatti la proprietà e la gestione dei gasdotti o degli impianti di GNL di sette degli otto punti d’ingresso esistenti, dopo gli ultimi accordi con Eni rispetto ai due gasdotti che ci riforniscono di gas algerino. Rispetto alle nuove infrastrutture, i terminal GNL di Piombino e Ravenna rientreranno nel patrimonio della società così come il raddoppio del Tap e la metanizzazione della Sardegna. La spregiudicata strategia di Snam punta al momento anche all’acquisto dei depositi a terra di proprietà di Edison, come recentemente affermato del suo amministratore delegato Stefano Venier.
Proprio Edison faceva parte della cordata che aveva in progetto la costruzione del Galsi, altro gasdotto che avrebbe collegato Algeria, Sardegna e Toscana e per il quale, secondo alcuni giornali di settore, sarebbe in corso l’ennesima analisi di prefattibilità, ma soprattutto è leader del consorzio IGI Poseidon, che sta iniziando la costruzione dell’omonimo gasdotto che collegherebbe l’Italia alla Grecia e che originariamente era pensato come tratto finale del gasdotto Eastmed. Ma che cosa vuole ancora Snam? Quali proposte sta supportando il governo italiano? Lo scopriremo nel corso di questa primavera, quando verranno presentati l’aggiornamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e l’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). Qualche sospetto lo abbiamo: saranno tutti piani a base di gas fossile e senza nessun riguardo per gli obiettivi climatici.