Il legame tra Italia e Azerbaigian in nome del gas

Pubblicato su Il Manifesto il 30/09/23

Un legame forte, fortissimo, quello tra l’Italia e l’Azerbaigian. Lo testimoniano i dati, che raccontano come il nostro Paese sia il primo partner commerciale di Baku in Europa. Il 30,1% dell’export azero finisce nei nostri confini, per la stragrande maggioranza in forma di idrocarburi. Abbiamo preso tanto petrolio proveniente dai giacimenti su terra e nel Mar Caspio che in alcuni anni l’Azerbaigian ha capeggiato la lista dei paesi da cui importavamo più oro nero. Per il 2022 ci siamo attestati sul 16,4%, ma ancora nel 2021 si era sul 23%.

Tuttavia è sul gas azero che da un decennio si sta giocando una partita di grande rilievo. Il Trans Adriatic Pipeline, meglio conosciuto come TAP e nella gestione del quale ha un ruolo apicale la partecipata statale Snam, è il troncone finale della mega pipeline Corridoio sud del gas. Un serpentone di 3.500 chilometri che dai giacimenti azeri di Shah Deniz arriva fino alle coste del Salento. Nonostante la forte protesta popolare, fu l’allora governo guidato da Matteo Renzi a dare l’inizio ai lavori del TAP, costati 4,3 miliardi di euro. Per tutto il corridoio Sud siamo invece sui 45 miliardi, con lauti contributi pubblici, come gli assegni di 3,9 miliardi di euro staccati da una cordata di banche pubbliche e private, tra cui la Banca europea per gli investimenti, Intesa Sanpaolo e UniCredit, e la garanzia di diverse agenzie di credito all’export, tra cui la nostrana SACE. Nei tubi del Corridoio nel 2022 sono passati quasi 10 miliardi di metri cubi di gas, tre in più del 2021. In totale, dalla sua inaugurazione nel 2020, siamo a 18,5 miliardi, quasi tutti (16) per il mercato italiano. Ma c’è addirittura chi sospetta che il gas destinato al terminal nei pressi di Melendugno non sia tutto azero. Un recente studio della stimata organizzazione statunitense IEEFA fa notare come Eurostat riferisca che nel gennaio 2023 l’Italia ha importato circa 750 milioni di metri cubi di gas dall’Azerbaigian, mentre nello stesso mese il nostro Paese ha dichiarato di aver importato 852 milioni di metro cubi di gas attraverso il TAP. Soprattutto se si leggono i dispacci di agenzia dello scorso novembre, in cui il produttore ed esportatore statale russo di gas Gazprom annunciava ufficialmente di aver iniziato a fornire gas alla compagnia statale azera SOCAR, a cui entro marzo 2023 avrebbe consegnato circa un miliardo di metri cubi, un’idea sulla provenienza di quei milioni in più ce la si può fare. La richiesta di aumentare la fornitura di gas fatta dall’Europa all’Azerbaigian una volta scoppiata la guerra in Ucraina, paradossalmente, potrebbe essere stata esaudita impiegando le riserve russe, che così sarebbero uscite dalla porta, per poi rientrare dalla finestra.

Che il Corridoio Sud del gas sia un’opera sovra-dimensionata a meno di non considerare l’impiego del gas russo noi di ReCommon lo sosteniamo da anni, dal momento che le riserve del Mar Caspio, seppur abbondanti, non coprirebbero il ventilato raddoppio della portata della pipeline, da 10 a 20 miliardi di metri cubi l’anno, senza “attingere” altrove.

Nelle cancellerie europee, compreso a Palazzo Chigi, nessuno però sembra essersi posto troppe domande sulla reale provenienza del gas azero, né si mette troppo in discussione il regime di fatto di Ilham Aliyev. Anche in questo caso, sono anni che denunciamo insieme a numerose organizzazioni internazionali la stretta repressiva del governo azero, le cui carceri sono piene di prigionieri politici. La vicenda della giornalista Khadija Ismayilova, per fortuna risoltasi con la sua liberazione, è solo una delle più eclatanti. Proprio la Ismayilova aveva scoperchiato il vaso di Pandora delle proprietà e degli interessi economici in giro per il Pianeta. Un’altra giornalista, la compianta Daphne Caruana Galizia, aveva invece denunciato le relazioni pericolose tra politici del suo Paese, Malta, e l’Azerbaigian.

Non che siano mancati i “contatti proibiti” con politici italiani. Val la pena rammentare la condanna in primo grado, poi prescritta, per corruzione internazionale del parlamentare Luca Volonté per aver ricevuto 500mila euro nel 2012-2013 dall’allora rappresentante dell’Azerbaigian all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, affinché lo stesso Volonté, in qualità di presidente dei Popolari-Cristiano Democratici, orientasse il voto del proprio gruppo parlamentare contro l’approvazione del rapporto che denunciava le terribili condizioni di 85 prigionieri politici azeri.  

Di fatto con quel voto al Consiglio d’Europa si legittimava in pieno il governo di Baku e si aprivano i confini europei (e italiani) al gas del Caspio. Ma il rapporto non è univoco, ovvero non è solo di import. L’Italia, infatti, all’Azerbaigian vende armi. Almeno dal 2012, quando Leonardo tramite la controllata AugustaWestland ha fornito 10 elicotteri all’Azerbaigian. È di cinque anni dopo l’intesa con la già citata SOCAR per incrementare la sicurezza fisica e cyber delle infrastrutture per gli approvvigionamenti energetici e garantire maggiore efficienza alle attività della società azera. La scorsa primavera Leonardo ha venduto agli azeri aerei da trasporto militare C-27J. La conferma è arrivata dalle parole dell’ex ministro dell’Ambiente Roberto Cingolani, ora passato amministratore delegato di Leonardo, che però non ha specificato il numero di aerei messi a disposizione dell’esecutivo azero. 

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