Il gas è un problema, a prescindere dal conflitto in Ucraina

A cura di Elena Gerebizza e Filippo Taglieri | Aggiornato al 10 luglio 2022

È drammatico vedere quanto la dipendenza italiana dal gas, non solo dal gas russo, stia influenzando il racconto della guerra in Ucraina nel nostro Paese. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si è già recato in Algeria e in Qatar, non per cercare soluzioni a questo conflitto, ma per testare i governi dei principali paesi fornitori di gas (e petrolio) rispetto a possibili aumenti delle forniture verso l’Italia nei prossimi mesi. Ma siamo sicuri che questa strada aiuterà a risolvere “il problema del gas” in Europa?

Facciamo un passo indietro

Basta aprire le bollette, in arrivo in questi giorni, per renderci conto che il gas era un problema anche da prima dell’invasione dell’Ucraina, e non solo perché circa il 40% delle importazioni italiane di gas provengono dalla Russia.

Come spiegato nel rapporto dell’Agenzia europea per la cooperazione dei regolatori dell’energia, pubblicato a dicembre del 2021, il costo del gas ha determinato un aumento nei prezzi dell’energia a livello europeo e di conseguenza l’aumento generale dei prezzi che già si stava manifestando prima dell’attacco russo all’Ucraina. Ma questo incremento, seppure generalizzato, ha pesato in maniera diversa nei paesi membri dell’UE a seconda del livello di dipendenza interna dal gas di ciascun paese e del livello di interconnessione elettrica. L’Italia è uno dei quattro paesi con il costo dell’energia più alto in Europa, proprio a causa della accentuata dipendenza dal gas.

Quindi se la volatilità dei prezzi del gas è un problema per tutti i paesi europei, lo è di più per l’Italia a causa della dipendenza dal gas strutturata dalle politiche energetiche del nostro governo. È questo che stiamo pagando in bolletta, e anche per questo il gas non può essere il combustibile di transizione di cui è pieno il bla bla bla del ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani.

È il mercato baby!

Al dodicesimo giorno del conflitto, Piazza Affari ha aperto in rosso e il prezzo del gas sul mercato spot di Amsterdam era a 225 euro al Mmbtu (per Million metric British thermal unit), per poi assestarsi sui 216 euro: il prezzo del gas non ha mai raggiunto un picco così alto. Per fare un confronto, un anno fa in questi giorni il prezzo del gas era a circa 18 euro al Mmbtu. A fine settembre 2021, quando in Europa i Ministri dell’energia già si incontravano per affrontare l’aumento dei prezzi dell’energia, il prezzo del gas sul mercato spot di Amsterdam (TTF) era a circa 80 euro al Mmbtu. In ciascun paese europeo il gas viene comprato e venduto su piattaforme virtuali: quella italiana viene gestita dal Gestore dei mercati energetici (GME). Qui gli operatori registrati possono negoziare lotti di gas mensili e annuali a prezzi fissi o indicizzati, a condizioni comunicate al Gestore. Come spiegato da Quale Energia, i prezzi del gas sul mercato spot olandese e inglese determinano anche il prezzo sul mercato spot italiano (IT PVS).

E poichè il mercato spot è guidato da aspettative, è sufficiente che una notizia sia ritenuta credibile sui mercati per muovere gli operatori a comprare o vendere ingenti quantitativi di gas con operazioni prettamente speculative sul prezzo futuro del gas. Così oggi, mentre il gas russo continua ad arrivare sul mercato europeo e con la possibilità che da un momento all’altro le forniture possano essere interrotte, il prezzo del gas schizza alle stelle.

Anche prima dell’inizio del conflitto era evidente che la volatilità del prezzo del gas sul mercato spot fosse un problema e che movimenti speculativi avevano un effetto simile a quello di altre commodities: evidentemente la crisi finanziaria del 2007-2009, poi diventata economica e sociale, non ci ha insegnato nulla.

Resta aggiornato
Iscriviti alla newsletter


    Vai alla pagina sulla privacy

    Quale diversificazione?

    È dalla crisi del gas tra Russia e Ucraina nel 2008 che la parola d’ordine dell’Ue è stata una soltanto: diversificare. Intendendo con questo non diversificare le fonti, e quindi ridurre la dipendenza dal gas, ma solamente diversificare i fornitori di gas, per ridurre la dipendenza dalla Russia. È stata questa la litania che ha giustificato la costruzione di uno dei più grandi gasdotti verso l’Ue: il Corridoio meridionale – o Corridoio sud – del gas. Un progetto costato circa 45 miliardi di dollari, per buona parte finanziati e garantiti da banche pubbliche europee, che trasporta verso l’Italia 10 miliardi di metri cubi di gas proveniente dai pozzi di Shah Deniz II, in Azerbaigian.

    Il governo italiano da mesi non fa che ripeterci che, grazie alla realizzazione del nuovo gasdotto TAP – ovvero l’ultima tratta del Corridoio meridionale, costato 4,5 miliardi di euro – il nostro sistema energetico era ormai al sicuro. È servita una guerra brutale per farci vedere che in realtà non è affatto così. Il TAP ha trasportato nel 2021 circa 7 miliardi di metri cubi di gas, di cui circa 6 sono rimasti in Italia. Meno del 10% del gas importato nella penisola. Il vero game changer, a detta in particolare del sottosegretario agli Affari esteri Manlio Di Stefano, sarebbe il suo raddoppio: se venisse fatto questo investimento, il gasdotto potrebbe trasportare in Europa circa 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno, di cui solo una parte rimarrebbe in Italia. Va infatti ricordato che in una logica di mercato europeo i trader del gas e le stesse aziende italiane non ragionano secondo le appartenenze nazionali, ma su dove si possono fare più profitti.

    Ma l’aumento della quantità trasportata, di cui si è discusso nell’ottavo incontro del Consiglio ministeriale sul Corridoio meridionale del gas, riguarda la possibile estensione del gasdotto verso i Balcani Occidentali, grazie all’Interconnessione Grecia-Bulgaria (IGB). Il suo completamento sta però subendo dei continui ritardi. Il gas trasportato verrebbe direzionato verso Stara Zagora in Bulgaria appena qualche chilometro dopo il confine turco, a Komotini. Obiettivo dell’IGB è collegare il gasdotto TAP al gasdotto Trans Balkan, che trasporta gas russo in Bulgaria. La sezione turca del Corridoio sud, va ricordato, è già collegata al gasdotto Blue Stream – quello di cui Eni ha promesso di cedere le quote perché posseduto anche da Gazprom – che trasporta gas russo attraverso il Mar Nero collegandosi appunto al Tanap. Espandere quindi la portata del TAP sembra essere un’agenda tutta italiana, mentre Ue e governi interessati guardano a come portare il gas azero dalla Turchia verso i Balcani. Ma espanderlo potrebbe servire a portare maggiori quantità di gas anche in Italia? Forse sì. Ma quale sarebbe l’origine di questo gas, l’Azerbaigian o la Russia?

    La partita del Caspio

    Il nuovo accordo di cooperazione siglato tra Russia e Azerbaigian il 22 febbraio 2022 parla di elevare le relazioni bilaterali tra i due paesi “a un livello qualitativamente nuovo e da alleati, che soddisfi pienamente gli interessi dei popoli della Federazione Russa e della Repubblica dell’Azerbaigian, contribuisca a garantire e rafforzare la sicurezza e la stabilità regionali e internazionali, riconoscendo l’importanza del riavvicinamento dei due paesi negli ambiti politico, economico, della difesa, culturale, umanitario, educativo, sociale, nonché nel campo della sanità, della cooperazione giovanile e dello sport”. Inoltre, il testo continua, “Le Parti, nel quadro della legislazione nazionale, promuoveranno l’ulteriore sviluppo dei legami economici tra le imprese della metallurgia, del petrolio e del gas e dell’ingegneria pesante, dell’aviazione, dell’industria automobilistica, chimica, farmaceutica e di quella leggera, dell’agricoltura, della costruzione di strade e dell’ingegneria dell’alimentazione”.

    Lo scorso settembre, Lukoil ha acquistato da BP una quota del 25% nel progetto di esplorazione dell’Azerbaigian Shallow Water Absheron Peninsula (SWAP), aumentando quindi la propria presenza nel Caspio e rafforzando la collaborazione con SOCAR e BP. In questo contesto appare chiara anche la strategia di allargamento di Lukoil, che sembra andare di pari passo con quella del governo russo: la società sembrerebbe la favorita per diventare l’operatore del giacimento di petrolio e gas congiunto azero-turkmeno Dostlug, che promette di dare il via a piani a lungo promossi per un gasdotto transcaspico per portare il gas turkmeno attraverso il Caspio e possibilmente in Europa. Questo progetto è stato sempre promosso come di interesse statunitense per liberare verso ovest le ingenti risorse del Turkmenistan tagliando fuori la Russia. Ma ora questa ci metterebbe con Lukoil il suo zampino.

    Secondo alcuni analisti, la maggior presenza della compagnia russa in Azerbaigian aumenterà inevitabilmente l’influenza della Russia. “Avere una così grande partecipazione in Shah Deniz dà a Lukoil una voce piuttosto forte nell’accesso alle strutture azere utilizzate per elaborare il gas per l’esportazione”. Altri vanno oltre, avvertendo che la posizione di Lukoil in così tanti progetti azeri dà alla compagnia accesso a informazioni che potrebbero essere usate contro gli interessi di Baku.

    “Avranno accesso a tutti i dati sui mercati a cui viene venduto il gas azero, i clienti, i prezzi, i volumi, così come i dettagli delle portate, i piani di manutenzione ed eventuali arresti – tutte informazioni molto utili per un concorrente”, ha detto a Eurasianet un ex funzionario di alto livello del settore del gas turco, a condizione di rimanere anonimo.

    Nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina, la vita di milioni di persone è appesa a un negoziato in cui il gas gioca un ruolo centrale. Se da un lato chiudere con le importazioni di gas, petrolio e carbone dalla Russia è la prima cosa da fare, la proposta dell’Ue di sostituire le importazioni di gas russo con gas che proviene da altri paesi, e soprattutto GNL trasportato via mare verso l’Italia e altri paesi, non risolve la nostra dipendenza dal gas, e rischia di accelerare la crisi climatica.

    [fine prima parte]

    Resta aggiornato, iscriviti alla newsletter

    Iscrivendoti alla newsletter riceverai aggiornamenti mensili sulle notizie, le attività e gli eventi dell’organizzazione.


      Vai alla pagina sulla privacy

      Sostieni le attività di ReCommon

      Aiutaci a dare voce alle nostre campagne di denuncia

      Sostienici