I venerdì del futuro, ma l’Enel rimane nel passato

Centrale termoelettrica ‘federico II’, Enel, Cerano, Brindisi, 2009. Foto Paolo Margari, Flickr CC BY-NC-ND 2.0

[di Antonio Tricarico]

Sono partite anche in Italia le mobilitazioni degli studenti per salvare il clima dalla catastrofe climatica, stigmatizzata qualche giorno fa anche dal Presidente della Repubblica in modo inusuale quanto dovuto.

Re:Common crede sia giusto che i giovani facciano sentire la propria voce prima che sia troppo tardi di fronte all’inerzia istituzionale, delle corporation e dei mercati finanziari che ci ha portato sull’orlo del baratro, come certifica ogni giorno la comunità scientifica internazionale. Oramai è quasi finito lo spazio nel “bilancio del carbonio” del pianeta per bruciare i combustibili fossili, in primis il carbone killer del clima e della salute.

Alla fine del 2017 nella nuova strategia energetica il governo italiano ha deciso di chiudere tutte le centrali a carbone su suolo italico entro il 2025. Finalmente qualche settimana fa il ministero dell’Ambiente ha emesso un provvedimento per aprire la revisione delle autorizzazioni integrate ambientali di molti impianti, al fine di stabilire così la loro data di chiusura. Ma a sorpresa l’Enel, la più grande impresa energetica italiana, ha deciso di impugnare questo provvedimento al Tar, perché sarebbe mancato un passaggio al ministero dello Sviluppo Economico.

È a dir poco singolare, per non dire ipocrita, che l’azienda che si è dotata per prima tra le utility europee di un obiettivo di decarbonizzazione al 2050 e a ogni occasione e pubblicità si mostra leader a livello mondiale nella sostenibilità, sia la prima – insieme alla Regione Sardegna – a opporsi all’unico decreto che ad oggi prova a rendere vincolante e legale l’uscita dell’Italia dal carbone. La strategia del 2017 non è stata infatti tramutata in legge e non è chiaro se il piano nazionale sul clima e l’energia, in discussione con Bruxelles, lo sarà.

Il governo del cambiamento dorme e quando si muove fa danni. Ironia della sorte a firmare la determina è stato il Dott. Giuseppe Lopresti, direttore generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del ministero. Nell’inchiesta sulla centrale a carbone di Vado Ligure il dirigente fu intercettato mentre affermava compiaciuto di “fare una porcata”, concedendo deroghe alle norme ambientali alla società Tirreno Power, i cui manager oggi sono a processo a Savona per disastro ambientale e sanitario.

Visto il complottismo sulle manine tanto caro al principale partito di governo, che controlla il ministero dell’Ambiente, non è una strana coincidenza che quest’ultimo non abbia coinvolto quello dello Sviluppo Economico, del Vice-Premier grillino Di Maio, di norma competente sulla dismissione degli impianti, offrendo così a Enel sul piatto d’argento il ricorso contro l’uscita dal carbone? Sarebbe il caso che il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa alle migliaia di ragazzi scesi oggi in strada dicesse qualcosa sulla bontà dei suoi dirigenti e che l’ad di Enel Francesco Starace spiegasse ai dimostranti perché la decarbonizzazione richiede bruciare più carbone.

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