Gibe III, la diga che distruggerà uno dei laghi più importanti dell’Africa

Uomini Kwegu pescano nelle acque del fiume Omo, Etiopia. © Survival International

[di Luca Manes]
La diga di Gibe III, al confine tra Etiopia e Kenya, è ormai quasi completa e da giugno è previsto che inizi a generare energia. A quel punto i timori espressi dalle tante organizzazioni internazionali, tra cui anche Re:Common, sui disastrosi effetti dell’opera potrebbero trovare una drammatica conferma.

A causa del gigantesco sbarramento che sta imbrigliando il corso del fiume Omo è infatti a rischio il Turkana, il più grande lago alcalino del mondo, nel quale sfocia proprio l’Omo dopo 760 chilometri di corso.

Si stima che il completamento del bacino artificiale, per cui saranno necessari circa tre anni, ridurrà di almeno il 70% i flussi idrici del fiume Omo. Le conseguenze sul lago Turkana sono facilmente intuibili. Inoltre l’area sarà ulteriormente impattata dalla coltivazione intensiva di cotone e zucchero, promosse con estrema convinzione dal governo di Addis Abeba.

Esperti idrogeologi ritengono che il livello delle acque del lago calerà dai 16 ai 22 metri. Un’enormità, se si considera che la media dell’invaso non supera i 31 metri e che già si è riscontrata una diminuzione negli ultimi due decenni a causa degli effetti del riscaldamento globale.

Questo fenomeno indotto dall’uomo provocherà la distruzione di fragili ecosistemi e la cancellazione di buona parte delle riserve di pesce, da cui dipende l’esistenza delle comunità (per un totale di oltre 300mila persone) che vivono sulle rive del Turkana, soprattutto in Kenya. Comunità che non sono state mai consultate e nemmeno avvertite di quanto sta per accadere sul loro territorio, come evidenziano gli attivisti dell’organizzazione statunitense International Rivers, che sulla questione hanno appena stilato un nuovo rapporto intitolato “Come and Count Our Bones (Venite a contare le nostre ossa – http://www.internationalrivers.org/resources/8475)”.

Nella ricerca si contano circa 100 interviste a rappresentanti della popolazione locale, preoccupatissimi per quanto sta per accadere nella loro regione.

Il Kenya ha in programma di acquistare l’energia prodotta da Gibe III. La linea di trasmissione necessaria per veicolarla è stata realizzata grazie al sostegno finanziario della Banca mondiale, che in un primo momento aveva fatto sapere di non aver alcuna intenzione di dare il suo contributo per la diga. Un’opera costata 1,8 miliardi di dollari, sulla carta in grado di generare 6.500 gigawatt di energia all’ora e in cui è palese il coinvolgimento italiano, visto che il principale appaltatore è la Salini. A differenza di quanto accaduto per l’impianto di Gibe II, sempre in capo alla Salini, per Gibe III la cooperazione italiana, dopo un primo interessamento, si era poi sfilata.

Mentre il governo di Addis Abeba non ha mai riconosciuto gli impatti del mega sbarramento, quello di Nairobi non ha preso posizione per difendere i diritti dei cittadini keniani che abitano nei pressi del Turkana. Troppo importate acquistare energia dai vicini etiopici, evidentemente.

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