Il sempreverde dogma del commercio mondiale

Un orgoglioso Luigi Di Maio martedì 12 ottobre ha chiuso il summit del G20 sul Commercio, tenutosi a Sorrento, con un inno al commercio globale: “Il commercio deve assicurare un futuro migliore alle persone, proteggere il pianeta e garantire prosperità a tutti, […] durante la fase più acuta della pandemia di COVID-19 il commercio non si è mai fermato, al contrario, sebbene abbia subito ritardi e affrontato vari problemi, ha contribuito ad attenuare l’impatto economico della pandemia. È da qui che dobbiamo ripartire, per ricostruire meglio e tutti quanti insieme”.

Per bocca del titolare della Farnesina, i ministri degli Esteri dei 20 paesi più ricchi hanno presentato la dichiarazione di Sorrento, piena di promesse. I 20 si dicono orientati a creare un sistema commerciale “non discriminatorio, aperto, giusto, inclusivo, equo, sostenibile e trasparente con l’OMC [Organizzazione Mondiale del Commercio] al suo centro”. Ci sarà tanto da lavorare, dato che globalizzazione che abbiamo davanti ha caratteristiche diametralmente opposte.

Foto kees torn, CC BY-SA 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0, via Wikimedia Commons

I ministri, infatti, non sembrano intenzionati a impegnarsi sul serio per ripensare un sistema centrato sull’export globale e sull’allungamento delle catene del valore, il tutto a discapito delle economie locali. La loro ricetta consiste nell’affidarsi completamente alla crescita del commercio globale, protagonista – secondo il documento – della mitigazione degli effetti economici della pandemia COVID-19. Nessuna riflessione critica su come negli ultimi decenni il fenomeno della globalizzazione, connettendo in modo acritico e selvaggio diversi mercati in modo sempre più veloce, abbia contribuito anche alla diffusione di pandemie. Il libero commercio non deve fermarsi, anzi deve crescere con meno “inutili” regole sull’export, riducendo le cosiddette barriere non tariffarie (ossia le legislazioni nazionali in materia non economica, quali ambiente e salute) e coinvolgendo anche le piccole e medie imprese nella scommessa del commercio elettronico. Allargando i suoi porti e costruendo nuove infrastrutture e connessioni, Aanche l’Italia si affida in toto all’export globale per trainare le sua ripresa e si offre come terreno di conquista per investitori e trader stranieri.

La finanza pubblica foraggerà il settore privato al fine di dare slancio a una nuova stagione della globalizzazione sempre più accelerata e pervasiva, ma anche sempre più difficile da realizzare. A Sorrento si è messo nero su bianco che i recovery plan di tutti i Paesi membri dell’UE avranno fra gli obiettivi l’accelerazione del movimento delle merci e il supporto totale e incondizionato alle multinazionali, che potranno continuare la loro cavalcata verso profitti sempre maggiori, spesso a scapito del lavoro e dell’ambiente. Si pensi solo come sia incompatibile questa gigantesca accelerazione dei commerci con i limiti posti dalla sfida climatica.

Nel nostro Paese gli esempi di opere necessarie a questo progetto sono innumerevoli, ma forse la più importante in termini di spesa pubblica sarà la nuova diga foranea di Genova. Quasi un miliardo d’investimento, per far approdare nel porto ligure le ULCS (Ultra Large Container Ship), navi che possono trasportare oltre 20.000 TEUs (unità di misura equivalente a 20 piedi). Già solo nella fase della sua realizzazione quest’opera faraonica e completamente fuori dal tempo avrà un’impronta rilevante sull’emergenza climatica in atto, per non parlare di quando sarà operativa – verosimilmente dopo il 2030. Il percorso di partecipazione della popolazione è stato vincolato all’impossibilità dell’opzione zero, ossia nell’ambito delle valutazioni di impatto l’ipotesi della non realizzazione non era Proprio contemplata.

Si pensi al rischio che queste navi enormi portano con sé, come l’ormai noto caso dell’Ever Given che ha creato enormi danni economici, ambientali e lavorativi.

Calati i riflettori sulla ministeriale G20 sul commercio di Sorrento lo slogan del vertice sotto la presidenza italiana “People, Planet, Prosperity” rimane generico sulle persone e sull’ambiente, ma ribadisce l’unico dogma che ci serve più globalizzazione per uscire dalla crisi. Anche se la probabilmente la prosperità sarà a vantaggio solo di pochi.

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