Delta del Niger, la legge che non piace alle oil corporation

Delta del Niger, foto Luca Tommasini/Re:Common, 2011

[di Luca Manes] dal blog di Re:Common su pagina99.it

Nel Delta del Niger si trova il 90 per cento delle riserve petrolifere e di gas della Nigeria, il primo Paese esportatore di greggio di tutto il Continente Nero con una produzione di poco più di due milioni di barili al giorno.

Eppure nel Delta la popolazione locale vive da decenni in condizioni di estrema indigenza, quotidianamente alle prese con il degrado socio-ambientale che l’attività estrattiva reca con sé.

Sono ormai passati due anni e mezzo da quando un rapporto redatto dall’Unep, l’agenzia ambientale delle Nazioni Unite, certificava che per il solo spicchio di Delta occupato dal popolo Ogoni serviranno 30 anni di bonifiche per riparare gli immensi danni causati dalla Shell. Il conto iniziale presentato alla oil corporation anglo-olandese ammontava a oltre un miliardo di dollari, ma le organizzazioni della società civile nigeriana hanno subito parlato della pressante esigenza di fondi per decine di miliardi al fine di pulire l’intero Delta.

Una richiesta tutt’altro che campata in aria, basti pensare che nel rapporto dell’Onu si racconta del caso eclatante della comunità di Nisisioken Ogale, dove il livello del benzene, elemento altamente cancerogeno, eccede di 900 volte il limite previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma un altro dato è fondamentale per rendersi conto dell’enorme portata del problema: si stima che negli ultimi decenni nelle acque e nelle terre del Delta siano finiti 546 milioni di barili di petrolio, 50 volte la fuoriuscita di greggio della Exxon Valdez in Alaska nel 1989. Un episodio, quest’ultimo, considerato tra i più devastanti della storia dal punto di vista degli impatti ambientali.

Eppure la relazione dell’agenzia delle Nazioni Unite e tutti gli altri numerosi studi redatti da organizzazioni di varia natura sono fin qui rimasti lettera morta. La Shell non ha mosso un dito per ripulire le lordure che infestano l’Ogoniland, sebbene sia da anni sotto l’occhio dei riflettori in quanto compagnia più attiva nel Paese e legata a episodi molto controversi. In primis la condanna a morte del poeta e attivista Ken Saro-Wiwa nel 1995 da parte della giunta militare presieduta da Sani Abacha. Però nemmeno le altre oil coporations, tra cui c’è anche l’italiana Eni, sembrano troppo vogliose di porre rimedio ai danni causati nel corso degli anni.

Intanto sul fronte legislativo interno qualcosa si muove. Il Senato nigeriano sta esaminando una nuova normativa intesa a rafforzare in maniera massiccia i poteri dell’agenzia che si occupa dell’inquinamento causato dal petrolio. Saranno introdotte multe più salate per i responsabili degli sversamenti, mentre il monitoraggio sarà incrementato in maniera esponenziale. Quest’ultimo costituirà un passo avanti significativo, dal momento che attualmente l’agenzia competente si rifà ai rapporti redatti dalle compagnie petrolifere in caso di incidenti. Come rivelato in un recente rapporto di Amnesty International, la Shell ha denunciato a più riprese che varie perdite dalle sue pipeline erano provocate da furti, negando ogni responsabilità – così da non pagare così i risarcimenti alle comunità. Peccato che, come rivela Amnesty, tali dichiarazioni non siano supportate dall’evidenza dei fatti. Un’opera di controllo diretto da parte degli enti governativi diventerebbe quindi di fondamentale importanza.

Resta aggiornato, iscriviti alla newsletter

Iscrivendoti alla newsletter riceverai aggiornamenti mensili sulle notizie, le attività e gli eventi dell’organizzazione.


    Vai alla pagina sulla privacy

    Sostieni le attività di ReCommon

    Aiutaci a dare voce alle nostre campagne di denuncia

    Sostienici