ENEL ha lanciato il 22 novembre il nuovo piano strategico 2017-2019. Oltre a un accattivante re-branding, l’azienda, in linea col nuovo corso inaugurato dall’amministratore delegato Francesco Starace, presenta in pompa magna il suo impegno per contribuire agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Promette istruzione di qualità per 200 mila persone, energia pulita ed accessibile per 3 milioni di persone soprattutto in Africa, Asia ed America Latina, occupazioni dignitose e crescita economica per un altro milione e mezzo e una riduzione delle emissioni di CO2 del 27% rispetto al 2007. Tutto entro il 2020.
Nobili dichiarazioni, che fanno seguito a quelle di Starace, che durante l’ultima Assemblea degli Azionisti lo scorso maggio si era pubblicamente impegnato a prendere in seria considerazione la controversa, quanto imbarazzante questione del carbone insanguinato proveniente dalla Colombia. Un carbone che ENEL si ostina a importare nonostante i vincoli evidenti tra le aziende produttrici e il paramilitarismo, vecchio e nuovo, che continua ad insanguinare il paese latinamericano. Nobili (seppur dovuti) impegni, a cui ad oggi, nonostante sia passato quasi un anno, non sono seguiti fatti.
Il carbone colombiano continua a bruciare nelle centrali italiane, le imprese produttrici a fare affari lucrosi di fatto beneficiando anche del controllo del territorio e la repressione violenta del dissenso di contadini e sindacati colombiani garantito dalle bande paramilitari ed ENEL mantiene saldo il suo posto nelle preziose liste degli indici di sostenibilità.
Tutto bene la nuova strategia, quindi, ma perché tanta riluttanza ad uscire dalla filiera del carbone colombiano?
Aspettiamo fiduciosi?