[di Luca Manes]
Alla fine di giugno, si è svolta a Pechino la prima riunione annuale della Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB). Questa nuova banca di investimenti pubblici è stata istituita alla fine del 2015 per iniziativa del governo cinese.
In particolare è stato il presidente Xi Jinping a volere fortemente l’AIIB, con l’obiettivo di assicurare finanziamenti per grandi infrastrutture in tutta la regione asiatica. Tra queste spicca la One Belt One Road Initiative, il cui scopo è di accelerare i trasporti, la trasmissione dell’energia e i percorsi industriali tra Asia ed Europa, sia via terra che attraverso il mare. Una moderna “via della seta”, che dovrebbe permettere ai cinesi di “disfarsi” in maniera più rapida sui mercati asiatici ed europei del loro eccesso di offerta utilizzando mega-corridoi che collegano le zone franche e i consumatori. Un piano che suscita molte preoccupazioni per la protezione del clima, per non parlare degli impatti ambientali e sociali.
Quando, nella primavera del 2015, la Cina ha annunciato la sua decisione di fondare questo nuovo istituto, i principali governi europei hanno inaspettatamente manifestato la loro intenzione di aderire in massa, di fatto ponendo all’angolo i ricalcitranti Usa e Giappone, rimasti così “lontani”.
Il funzionario cinese Jin Liqun, primo Presidente dell’istituzione, ha definito l’AIIB “snella, pulita e verde”. Inoltre la banca assomiglierà molto alla Banca europea per gli investimenti per quel che riguarda la sua governance e il modello operativo, cosa che rende le cancellerie europee ancora più orgogliose della loro decisione di aderire alla AIIB.
Niente board permanente, quindi, management e staff ridotti in termini numerici e un modus operandi più da banca pubblica di investimenti, che da banca di sviluppo multilaterale. La sua grande attenzione sulle infrastrutture ricorda il focus prioritario della Banca europea per gli investimenti, strumento chiave del piano Juncker per promuovere la ripresa economica europea.
La Cina è il principale Paese azionista della AIIB, con una quota del 20 per cento. Per la prima volta i membri dell’Eurozona hanno deciso di parlare con una sola voce, acquisendo un 10 per cento “comunitario”. Vi è poi una circoscrizione misto europea-non asiatica, guidata ora dal Regno Unito e con la presenza di Egitto e Brasile. Considerevole il capitale iniziale: 100 miliardi di dollari.
Gli stati della Zona Euro affermano che la loro partecipazione fa sì che la banca sin dalla sua istituzione sia portata ad adottare alcune best practice internazionali in termini di protezione ambientale, di appalti pubblici e di trasparenza. Tutte cose da verificare nella pratica, ora che la Banca ha approvato i primi quattro progetti in Asia. Guardando nelle politiche introdotte finora, la società civile ha rilevato alcuni difetti importanti, che non rendono certo l’AIIB la prima della classe come si vorrebbe far credere. Poca chiarezza su come e quando sono divulgate le informazioni e sui meccanismi di ricorso sono i punti dolenti finora.
Al di là delle politiche di salvaguardia, il modello di business dell’AIIB deve ancora essere definito adeguatamente. E non è chiaro se questa nuova istituzione seguirà il modello BEI o meno.
Uno dei punti chiave è sicuramente l’ambiente. La Banca è stata ufficialmente istituita pochi giorni dopo l’accordo di Parigi sul clima del dicembre 2015. Come Presidente Liqun ha dichiarato alla riunione annuale, l’AIIB si considera “figlia” di tale accordo. Nelle prossime settimane il management della banca inizierà la stesura della sua strategia energetica. Una prima bozza sarà discussa dal consiglio entro la fine dell’anno e l’approvazione è attesa nel marzo 2017. La definizione di questa strategia è un banco di prova per verificare quanto la AIIB sarà “verde e pulita”.
Certo, non c’è da essere molto ottimisti, visto che finora la AIIB non ha escluso la possibilità di finanziare progetti nucleari e a carbone. Staremo a vedere.