Italiani brava gente

Il Presidente del Consiglio Renzi, in Etiopia, visita la Diga Gilgel Gibe III. Foto: canale di Palazzo Chigi su Flickr, licenza CC BY-NC-SA 2.0

[di Giulia Franchi]
Non ci era bastato il siparietto proposto da Matteo Renzi in occasione della terza Conferenza delle Nazioni Unite sul Finanziamento allo Sviluppo tenutasi lo scorso luglio ad Addis Abeba.
Dopo aver imbarazzato mezza Italia presentandosi al vertice in Etiopia in ritardo perché era “impegnato a salvare l’Europa” durante la crisi greca, il nostro giovane ed esuberante premier aveva poi salutato tutti ed era volato 400 chilometri più a sud, nella valle dell’Omo, per una foto ricordo sulla diga Gibe 3, il mega progetto infrastrutturale dell’italianissima Salini-Impregilo, meritevole, secondo Renzi, di portare alto il tricolore.

Evidentemente non era sufficiente. E per questo, a distanza di pochi mesi, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ritenuto di dover fare altrettanto, precipitandosi a omaggiare il contestatissimo governo presieduto da Haile Mariam Desalegn, e sostanzialmente a confermare l’indissolubile rapporto di amicizia che lega l’Italia all’Etiopia. Amicizia che in gergo geopolitico significa condivisione profonda delle strategie di sviluppo del Paese, dai cui vantaggi l’Italia non intende rimanere esclusa.

Mentre Survival International, che da anni si batte per la difesa dei diritti dei popoli indigeni, presentava un’Istanza all’OCSE contro Salini Impregilo in merito alla costruzione della controversa diga Gibe 3, destinata a distruggere i mezzi di sussistenza di centinaia di migliaia di persone tra Etiopia e Kenya, il Capo dello Stato Mattarella stringeva la mano a Desalegn, avallando con il più alto sigillo istituzionale la speranza del Primo Ministro etiope che nel suo Paese arrivino presto “tante Salini”.

E infatti le “buone notizie” non hanno tardato ad arrivare. Prima fra tutte quella che sarà proprio la Salini a realizzare la nuova diga Gibe IV, l’ennesimo mega progetto energetico messo in cantiere dal governo etiope, che “insiste” sul già tormentato fiume Omo, in una saga che sembra non finire mai.

Ma ancora più importante è la notizia che questa volta a metterci i soldi sarà pure il nostro Stato. La SACE, l’agenzia di credito all’export italiana, garantirà una parte cospicua del finanziamento necessario per realizzare il nuovo mega-progetto, dimostrando, con questo, ben poca memoria storica, ma non poco coraggio.

Era il 2004 quando la Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) approvò (in condizioni che suscitarono scandalo tra i contribuenti, e stimolarono l’interesse della Magistratura Italiana) il più grande credito d’aiuto mai erogato nella storia del fondo rotativo, 220 milioni di euro, per la costruzione della contestatissima diga Gilgel Gibe 2 proprio sul fiume Omo, parzialmente crollata a meno di una settimana dall’inaugurazione.

Qualche anno dopo, la DGCS si vide costretta da una vincente campagna di pressione della società civile internazionale a ritirare la promessa di finanziamento per Gibe 3, anche perché tutti i donatori multilaterali, inizialmente coinvolti, avevano fatto marcia indietro. Ora l’Italia sembra voler flettere i muscoli e tentare una nuova prova di forza mandando avanti la nostra agenzia di credito all’esportazione.

Poco importa che, nel frattempo, il governo etiope si stia tirando addosso le critiche di numerose organizzazioni per la difesa dei diritti umani, da Human Rights Watch a Survival International, fino all’Oakland Institute. Queste realtà stanno denunciando a gran voce, e da anni, i crescenti livelli di repressione subiti delle comunità pastorali a Gambella e nella Valle dell’Omo, a causa dello sviluppo forzato promosso dal glorioso Piano di Crescita e Trasformazione ideato dall’esecutivo di Addis Abeba. Si parla di centinaia di persone cacciate con violenza dalle loro case ancestrali, mentre i loro pascoli e le terre agricole vengono trasformate in piantagioni industriali di canna da zucchero, cotone e agrocombustibili. E ancora di percosse, abusi e intimidazioni, ma anche di stupro nei confronti di donne e bambini da parte dei soldati etiopi.

Ma non importa. Nell’ultimo triennio la cooperazione italiana ha finanziato progetti di cooperazione allo sviluppo in Etiopia per quasi 100 milioni di euro, evitando di imbarazzare un partner strategico con domande scomode sulle violazioni dei diritti umani in atto.

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