Gli Stati Uniti, la Shell e le pari opportunità: una sentenza contro i diritti umani?

Inquinamento del Delta del Niger provocato dagli impianti Shell, Photo Marten van Dijl, Milieudefensie (Friends of the Earth Netherlands)
Inquinamento del Delta del Niger provocato dagli impianti Shell, Photo Marten van Dijl, Milieudefensie (Friends of the Earth Netherlands)

[di Luca Manes] pubblicato su greenreport.it

Una vittoria della potentissima lobby delle multinazionali. La recente sentenza della Suprema Corte degli Stati Uniti che limita in maniera molto netta la possibilità per i cittadini stranieri vittime di violazioni dei diritti umani di ricorrere a corti americane è stata letta in questo modo da attivisti, avvocati ed esperti in campo giuridico.

Il provvedimento che archivia all’unanimità l’azione intentata da un gruppo di cittadini nigeriani contro la oil company Royal Dutch Shell per complicità nei delitti e in altri abusi commessi negli anni Novanta dal governo del Paese africano nel Delta del Niger rischia di compromettere 30 anni di strategie legali nel campo specifico. Negli Stati Uniti sono attualmente decine le cause pendenti intentate contro compagnie multinazionali basate sull’esplicito richiamo dell’Alien Tort Statute del 1789. Questa normativa è stata utilizzata dagli avvocati per citare in giudizio per violazione di diritti umani privati cittadini e società che svolgono le loro attività negli Usa così come nei Paesi dove avvengono i reati.

Secondo Robert Loeb, un ex alto dirigente del Dipartimento di Giustizia, la decisione dell’Alta Corte rischia di compromettere per sempre l’esito di tutte queste cause in corso, perché dà assoluto rilievo al luogo dove si sono verificati i reati. Altri giuristi sperano che nel caso di compagnie con evidenti legami con gli Stati Uniti – non è il caso della Shell, che negli Usa ha una sussidiaria ma non la sede centrale – si possa continuare ad applicare l’Alien Tort Statute, come lascerebbe intendere un’opinione scritta consegnata da una parte dei giudici dell’Alta Corte.

Al momento i casi di maggior rilievo sulla materia specifica sono quelli che vedono alla sbarra la Chiquita per le sue “relazioni pericolose” con i paramilitari colombiani, l’Exxon e la Chevron per vari abusi in Nigeria e Indonesia, la compagnia mineraria Rio tinta per il ruolo svolto nella guerra civile in Papua Nuova Guinea, nonché un nutrito gruppo di società per il sostegno fornito al regime dell’apartheid in Sud Africa.

Nel frattempo, in Olanda la Shell è ancora protagonista di un caso legale che ha attratto l’interesse dell’opinione pubblica internazionale. Dopo la sentenza dello scorso 30 gennaio di un tribunale dell’Aja, in parte favorevole alla multinazionale anglo-olandese, gli avvocati dei contadini nigeriani che hanno subito le conseguenze negative dell’attività della Shell (in particolare connesse agli sversamenti di petrolio) hanno presentato ricorso. Se per una parte delle contestazioni mosse giudici avevano prosciolto la compagnia in quanto non responsabile dei sabotaggi agli oleodotti, per altre era stata accertata la condotta illegittima della stessa Shell, stabilendo però che spettava alla filiale nigeriana e non alla casa madre olandese farsi carico delle richieste di compensazione. Vedremo nelle prossime settimane se negli Stati Uniti e in Olanda ci saranno margini per sovvertire dei provvedimenti che di certo non tutelano i diritti umani e gli interessi delle comunità locali, ma sembrano far piuttosto un piacere ai soliti noti delle big corporation.

Resta aggiornato, iscriviti alla newsletter

Iscrivendoti alla newsletter riceverai aggiornamenti mensili sulle notizie, le attività e gli eventi dell’organizzazione.


    Vai alla pagina sulla privacy

    Sostieni le attività di ReCommon

    Aiutaci a dare voce alle nostre campagne di denuncia

    Sostienici