[di Luca Manes]
C’è voluta una pepatissima puntata di Report, nonché il rinvio a giudizio di un ex parlamentare italiano, ma alla fine anche il Consiglio d’Europa ha iniziato a fare mea culpa.
Certo, siamo fuori tempo massimo, ma già il riconoscere che “sì, abbiamo un problema” e quindi affidare un’indagine a un soggetto indipendente sono un bel passo in avanti rispetto al muro di silenzio – per non dire omertà – innalzato negli ultimi tre anni. Ovvero da quando il Consiglio d’Europa ha sorprendentemente rigettato il rapporto Strasser (dal nome del suo estensore) che puntava con decisione il dito contro le violazioni dei diritti umani nella petrocrazia azera.
Voto “influenzato” dai lobbisti pro-Azerbaigian, “aggiustato” dalla sapiente azione della diplomazia al caviale, si è subito ipotizzato da più parti. Che poi – pare – si trattasse di bonifici milionari invece delle preziose scatolette piene di uova di storione non c’è proprio da stupirsi un granché.
I trasferimenti bancari arrivavano all’ex presidente del gruppo parlamentare del PPE al Consiglio d’Europa, il nostro connazionale Luca Volonté. O meglio erano “donazioni” – per un totale di 2 milioni e 390mila euro – a una fondazione, la Novae Terrae e a una società, la LGV, entrambe riconducibili all’esponente dell’UDC. Denaro, secondo l’accusa, proveniente da due compagnie britanniche intermediarie di una società di telecomunicazioni azera e che, sempre in base a quanto stabilito dalla Procura di Milano, costituiva una tangente pagata dal governo dell’Azerbaigian per assicurarsi una sponda – e che sponda – in un consesso importante come il Consiglio d’Europa.
Il giudice per le udienze preliminari di Milano ha rinviato a giudizio Volonté per riciclaggio, mentre ha dichiarato il “non luogo a procedere” per quanto riguarda il reato più grave, quello di corruzione, solo perché l’ex deputato all’epoca dei fatti coperto dall’immunità parlamentare. Al tal proposito, la procura di milano si è detta determinata a ricorrere in Cassazione.
Al di là della scappatoie legali, c’è del marcio – e pure tanto – a Strasburgo. I lobbisti pro-Azerbaigian e il loro operato hanno incrinato l’immagine del Consiglio d’Europa, come ammette la stessa istituzione. Forse, aggiungiamo noi, sarebbe il caso che altri organismi che contano nel Vecchio Continente “rivalutassero” il punto nodale di tutta la questione: i rapporti con Baku e il suo governo democratico solo di facciata.
Nel recente passato la Commissione europea ha sostenuto con grande entusiasmo la genesi del Corridoio Gas del Sud, che dalle rive del Caspio dovrebbe arrivare fino a quelle salentine con tre segmenti distinti solo nominalmente – l’ultimo è ovviamente il TAP. Ora la Banca europea per gli investimenti (BEI) potrebbe prestare ben tre miliardi per la realizzazione della mega-infrastruttura, segnatamente due per il TAP e uno per il TANAP (il segmento turco della pipeline). Ai tecnici che nella sede lussemburghese della BEI stanno esaminando il dossier relativo al TAP consigliamo un ripasso approfondito ed esaustivo sulle varie criticità del caso.
Casomai potrebbero iniziare rivedendosi la puntata di Report e leggendosi la lettera scritta nelle prime settimane dell’anno da Ilgar Mammadov, uno dei leader dell’opposizione azera, attualmente in carcere dopo l’arresto durante la campagna elettorale del 2013 e che nel 2014 è stato condannato a sette anni di reclusione sulla base di accuse bollate da più parti come “inventate”. “Vi racconterò dell’impatto che il Southern Gas Corridor ha sui prigionieri politici dell’Azerbaijan”, scrive Mammadov, spiegando poi come il gasdotto rappresenti un elemento chiave per garantire al presidente Ilham Aliyev di conservare il suo potere. Perché avere amici importanti nelle principali cancellerie europee conta, eccome.
Per leggere l’intero testo della lettera di Mammadod (in inglese): https://www.opendemocracy.net/od-russia/ilgar-mammadov/open-letter-from-inmate-of-southern-gas-corridor